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lariosto testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie, in prosa e in versi, operaomnia #
CANTO QUARANTESIMOSESTO ET ULTIMO
[ Riassunto ]
1
Or, se mi mostra la mia carta il vero, non è lontano a discoprirsi il porto; sì che nel lito i voti scioglier spero a chi nel mar per tanta via m'ha scorto; ove, o di non tornar col legno intero, o d'errar sempre, ebbi già il viso smorto. Ma mi par di veder, ma veggo certo, veggo la terra, e veggo il lito aperto.
2
Sento venir per allegrezza un tuono che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde: odo di squille, odo di trombe un suono che l'alto popular grido confonde. Or comincio a discernere chi sono questi che empion del porto ambe le sponde. Par che tutti s'allegrino ch'io sia venuto a fin di così lunga via.
3
Oh di che belle e saggie donne veggio, oh di che cavallieri il lito adorno! Oh di ch'amici, a chi in eterno deggio per la letizia c'han del mio ritorno! Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio veggo del molo in su l'estremo corno: Veronica da Gambera è con loro, sì grata a Febo e al santo aonio coro.
4
Veggo un'altra Genevra, pur uscita del medesimo sangue, e Iulia seco; veggo Ippolita Sforza, e la notrita Damigella Trivulzia al sacro speco: veggo te, Emilia Pia, te, Margherita, ch'Angela Borgia e Graziosa hai teco. Con Ricciarda da Este ecco le belle Bianca e Diana, e l'altre lor sorelle.
5
Ecco la bella, ma più saggia e onesta, Barbara Turca, e la compagna è Laura: non vede il sol di più bontà di questa coppia da l'Indo all'estrema onda maura. Ecco Genevra che la Malatesta casa col suo valor sì ingemma e inaura, che mai palagi imperiali o regi non ebbon più onorati e degni fregi.
6
S'a quella etade ella in Arimino era, quando superbo de la Gallia doma Cesar fu in dubbio, s'oltre alla riviera dovea passando inimicarsi Roma; crederò che piegata ogni bandiera, e scarca di trofei la ricca soma, tolto avria leggi e patti a voglia d'essa, né forse mai la libertade oppressa.
7
Del mio signor di Bozolo la moglie, la madre, le sirocchie e le cugine, e le Torelle con le Bentivoglie, e le Visconte e le Palavigine; ecco chi a quante oggi ne sono, toglie, e a quante o greche o barbere o latine ne furon mai, di quai la fama s'oda, di grazia e di beltà la prima loda,
8
Iulia Gonzaga, che dovunque il piede volge, e dovunque i sereni occhi gira, non pur ogn'altra di beltà le cede, ma, come scesa dal ciel dea, l'ammira. La cognata è con lei, che di sua fede non mosse mai, perché l'avesse in ira Fortuna che le fe' lungo contrasto. Ecco Anna d'Aragon, luce del Vasto;
9
Anna, bella, gentil, cortese e saggia, di castità, di fede e d'amor tempio. La sorella è con lei, ch'ove ne irraggia l'alta beltà, ne pate ogn'altra scempio. Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia di Stige, e fa con non più visto esempio, mal grado de le Parche e de la Morte, splender nel ciel l'invitto suo consorte.
10
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle de la corte d'Urbino; e riconosco quelle di Mantua, e quante donne belle ha Lombardia, quante il paese tosco. Il cavallier che tra lor viene, e ch'elle onoran sì, s'io non ho l'occhio losco, da la luce offuscato de' bei volti, è 'l gran lume aretin, l'Unico Accolti.
11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio, c'ha purpureo il capel, purpureo il manto, col cardinal di Mantua e col Campeggio, gloria e splendor del consistorio santo: e ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio) al viso e ai gesti rallegrarsi tanto del mio ritorno, che non facil parmi ch'io possa mai di tanto obligo trarmi.
12
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei, e Paulo Pansa e 'l Dresino e Latino Iuvenal parmi, e i Capilupi miei, e 'l Sasso e 'l Molza e Florian Montino; e quel che per guidarci ai rivi ascrei mostra piano e più breve altro camino, Iulio Camillo; e par ch'anco io ci scerna, Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
13
Ecco Alessandro, il mio signor, Farnese: oh dotta compagnia che seco mena! Fedro, Capella, Porzio, il bolognese Filippo, il Volterano, il Madalena, Blosio, Pirio, il Vida cremonese, d'alta facondia inessicabil vena, e Lascari e Mussuro e Navagero, e Andrea Marone e 'l monaco Severo.
14
Ecco altri duo Alessandri in quel drappello, dagli Orologi l'un, l'altro il Guarino. Ecco Mario d'Olvito, ecco il flagello de' principi, il divin Pietro Aretino. Duo Ieronimi veggo, l'uno è quello di Veritade, e l'altro il Cittadino. Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno, il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
15
Là Bernardo Capel, là veggo Pietro Bembo, che 'l puro e dolce idioma nostro, levato fuor del volgare uso tetro, quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro. Guasparro Obizi è quel che gli vien dietro, ch'ammira e osserva il sì ben speso inchiostro. Io veggo il Fracastorio, il Bevazano, Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano.
16
Veggo Nicolò Tiepoli, e con esso Nicolò Amanio in me affissar le ciglia; Anton Fulgoso ch'a vedermi appresso al lito mostra gaudio e maraviglia. Il mio Valerio è quel che là s'è messo fuor de le donne; e forse si consiglia col Barignan c'ha seco, come, offeso sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
17
Veggo sublimi e soprumani ingegni di sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio. Colui che con lor viene, e da' più degni ha tanto onor, mai più non conobbi io; ma, se me ne fur dati veri segni, è l'uom che di veder tanto desio, Iacobo Sanazar, ch'alle Camene lasciar fa i monti et abitar l'arene.
18
Ecco il dotto, il fedele, il diligente secretario Pistofilo, ch'insieme con gli Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente piacer, che più del mar per me non teme. Annibal Malaguzzo, il mio parente, veggo con l'Adoardo, che gran speme mi dà, ch'ancor del mio nativo nido udir farà da Calpe agli Indi il grido.
19
Fa Vittor Fausto, fa il Tancreti festa di rivedermi, e la fanno altri cento. Veggo le donne e gli uomini di questa mia ritornata ognun parer contento. Dunque, a finir la breve via che resta, non sia più indugio, or ch'ho propizio il vento; e torniamo a Melissa, e con che aita salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita
20
Questa Melissa, come so che detto v'ho molte volte, avea sommo desire che Bradamante con Ruggier di stretto nodo s'avesse in matrimonio a unire; e d'ambi il bene e il male avea sì a petto, che d'ora in ora ne volea sentire. Per questo spirti avea sempre per via, che, quando andava l'un, l'altro venìa.
21
In preta del dolor tenace e forte Ruggier tra le scure ombre vide posto, il qual di non gustar d'alcuna sorte mai più vivanda fermo era e disposto, e col digiun si volea dar la morte: ma fu l'aiuto di Melissa tosto; che, del suo albergo uscita, la via tenne ove in Leone ad incontrar si venne:
22
il qual mandato, l'un a l'altro appresso, sua gente avea per tutti i luoghi intorno; e poscia era in persona andato anch'esso per trovare il guerrier dal licorno. La saggia incantatrice, la qual messo freno e sella a uno spirto avea quel giorno, e l'avea sotto in forma di ronzino, trovò questo figliuol di Costantino.
23
-- Se de l'animo è tal la nobiltate, qual fuor, signor, -- diss'ella -- il viso mostra; se la cortesia dentro e la bontade ben corrisponde alla presenza vostra, qualche conforto, qualche aiuto date al miglior cavallier de l'età nostra; che s'aiuto non ha tosto e conforto, non è molto lontano a restar morto.
24
Il miglior cavallier, che spada a lato e scudo in braccio mai portassi o porti; il più bello e gentil ch'al mondo stato mai sia di quanti ne son vivi o morti, sol per un'alta cortesia c'ha usato, sta per morir, se non ha chi 'l conforti. Per Dio, signor, venite, e fate prova s'allo suo scampo alcun consiglio giova. --
25
Ne l'animo a Leon subito cade che 'l cavallier di chi costei ragiona, sia quel che per trovar fa le contrade cercare intorno, e cerca egli in persona; sì ch'a lei dietro, che gli persuade sì pietosa opra, in molta fretta sprona: la qual lo trasse (e non fer gran camino) ove alla morte era Ruggier vicino.
26
Lo ritrovàr che senza cibo stato era tre giorni, e in modo lasso e vinto, ch'in piè a fatica si saria levato, per ricader, se ben non fosse spinto. Giacea disteso in terra tutto armato, con l'elmo in testa, e de la spada cinto; e guancial de lo scudo s'avea fatto, in che 'l bianco liocorno era ritratto.
27
Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia fatto alla donna, e quanto ingrato e quanto isconoscente le sia stato, arrabbia, non pur si duole; e se n'affligge tanto, che si morde le man, morde le labbia, sparge le guance di continuo pianto; e per la fantasia che v'ha sì fissa, né Leon venir sente né Melissa;
28
né per questo interrompe il suo lamento, né cessano i sospir, né il pianto cessa. Leon si ferma, e sta ad udire intento; poi smonta del cavallo, e se gli appressa. Amore esser cagion di quel tormento conosce ben; ma la persona espressa non gli è, per cui sostien tanto martìre; ch'anco Ruggier non glie l'ha fatto udire.
29
Più inanzi, e poi più inanzi i passi muta, tanto che se gli accosta a faccia a faccia; e con fraterno affetto lo saluta, e se gli china a lato, e al collo abbraccia. Io non so quanto ben questa venuta di Leone improvisa a Ruggier piaccia; che teme che lo turbi e gli dia noia, e se gli voglia oppor, perché non muoia.
30
Leon con le più dolci e più soavi parole che sa dir, con quel più amore che può mostrar, gli dice: -- Non ti gravi d'aprirmi la cagion del tuo dolore; che pochi mali al mondo son sì pravi, che l'uomo trar non se ne possa fuore, se la cagion si sa; né debbe privo di speranza esser mai, fin che sia vivo.
31
Ben mi duol che celar t'abbi voluto da me, che sai s'io ti son vero amico, non sol dipoi ch'io ti son sì tenuto, che mai dal nodo tuo non mi districo, ma fin allora ch'avrei causa avuto d'esserti sempre capital nimico; e déi sperar ch'io sia per darti aita con l'aver, con gli amici e con la vita.
32
Di meco conferir non ti rincresca il tuo dolore, e lasciami far prova, se forza, se lusinga, acciò tu n'esca, se gran tesor, s'arte, s'astuzia giova. Poi, quando l'opra mia non ti riesca, la morte sia ch'al fin te ne rimuova: ma non voler venir prima a quest'atto, che ciò che si può far, non abbi fatto. --
33
E seguitò con sì efficaci prieghi, e con parlar sì umano e sì benigno, che non può far Ruggier che non si pieghi; che né di ferro ha il cor né di macigno, e vede, quando la risposta nieghi, che farà discortese atto e maligno. Risponde; ma due volte o tre s'incocca prima il parlar, ch'uscir voglia di bocca.
34
-- Signor mio, -- disse al fin -- quando saprai colui ch'io son (che son per dirtel ora), mi rendo certo che di me sarai non men contento, e forse più, ch'io muora. Sappi ch'io son colui che sì in odio hai: io son Ruggier ch'ebbi te in odio ancora; e che con intenzion di porti a morte, già son più giorni, usci' di questa corte;
35
acciò per te non mi vedessi tolta Bradamante, sentendo esser d'Amone la voluntade a tuo favor rivolta. Ma perché ordina l'uomo, e Dio dispone, venne il bisogno ove mi fe' la molta tua cortesia mutar d'opinione; e non pur l'odio ch'io t'avea, deposi, ma fe' ch'esser tuo sempre io mi disposi.
36
Tu mi pregasti, non sapendo ch'io fossi Ruggier, ch'io ti facessi avere la donna; ch'altretanto saria il mio cor fuor del corpo, o l'anima volere. Se sodisfar più tosto al tuo disio, ch'al mio, ho voluto, t'ho fatto vedere. Tua fatta è Bradamante; abbila in pace: molto più che 'l mio bene, il tuo mi piace.
37
Piaccia a te ancora, se privo di lei mi son, ch'insieme io sia di vita privo; che più tosto senz'anima potrei, che senza Bradamante restar vivo. Appresso, per averla tu non sei mai legitimamente, fin ch'io vivo: che tra noi sponsalizio è già contratto, né duo mariti ella può avere a un tratto. --
38
Riman Leon sì pien di maraviglia, quando Ruggiero esser costui gli è noto, che senza muover bocca o batter ciglia o mutar piè, come una statua, è immoto: a statua, più ch'ad uomo, s'assimiglia, che ne le chiese alcun metta per voto. Ben sì gran cortesia questa gli pare, che non ha avuto e non avrà mai pare.
39
E conosciutol per Ruggier, non solo non scema il ben che gli voleva pria; ma sì l'accresce, che non men del duolo di Ruggiero egli, che Ruggier, patia. Per questo, e per mostrarsi che figliuolo d'imperator meritamente sia, non vuol, se ben nel resto a Ruggier cete, ch'in cortesia gli metta inanzi il piede.
40
E dice: -- Se quel dì, Ruggier, ch'offeso fu il campo mio dal valor tuo stupendo, ancor ch'io t'avea in odio, avessi inteso che tu fossi Ruggier, come ora intendo; così la tua virtù m'avrebbe preso, come fece anco allor, non lo sapendo; e così spinto dal cor l'odio, e tosto questo amor ch'io ti porto, v'avria posto.
41
Che prima il nome di Ruggiero odiassi, ch'io sapessi che tu fosse Ruggiero, non negherò: ma ch'or più inanzi passi l'odio ch'io t'ebbi, t'esca del pensiero. E se, quando di carcere io ti trassi, n'avesse, come or n'ho, saputo il vero; il metesimo avrei fatto anco allora, ch'a benefizio tuo son per far ora.
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E s'allor volentier fatto l'avrei, ch'io non t'era, come or sono, obligato; quant'or più farlo debbo, che sarei, non lo facendo, il più d'ogn'altro ingrato; poi che negando il tuo voler, ti sei privo d'ogni tuo bene, e a me l'hai dato. Ma te lo rendo, e più contento sono renderlo a te, ch'aver io avuto il dono.
43
Molto più a te, ch'a me, costei conviensi, la qual, ben ch'io per li suoi merit'ami, non è però, s'altri l'avrà, ch'io pensi, come tu, al viver mio romper li stami. Non vo' che la tua morte mi dispensi, che possi, sciolto ch'ella avrà i legami che son del matrimonio ora fra voi, per legitima moglie averla io poi.
44
Non che di lei, ma restar privo voglio di ciò c'ho al mondo, e de la vita appresso, prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio per mia cagion tal cavalliero oppresso. De la tua difidenzia ben mi doglio; che tu che puoi, non men che di te stesso, di me dispor, più tosto abbi voluto morir di duol, che da me avere aiuto. --
45
Queste parole et altre suggiungendo, che tutte saria lungo riferire, e sempre le ragion redarguendo, ch'in contrario Ruggier gli potea dire; fe' tanto, ch'al fin disse: -- Io mi ti rendo, e contento sarò di non morire. Ma quando ti sciorrò l'obligo mai, ché due volte la vita dato m'hai? --
46
Cibo soave e precioso vino Melissa ivi portar fece in un tratto; e confortò Ruggier, ch'era vicino, non s'aiutando, a rimaner disfatto. Sentito in questo tempo avea Frontino cavalli quivi, e v'era accorso ratto. Leon pigliar da li scudieri suoi lo fe' e sellare, et a Ruggier dar poi;
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il qual con gran fatica, ancor ch'aiuto avesse da Leon, sopra vi salse: così quel vigor manco era venuto, che pochi giorni inanzi in modo valse, che vincer tutto un campo avea potuto, e far quel che fe' poi con l'arme false. Quindi partiti, giunser, che più via non fêr di mezza lega, a una badia:
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ove posaro il resto di quel giorno, e l'altro appresso, e l'altro tutto intero, tanto che 'l cavallier dal liocorno tornato fu nel suo vigor primiero. Poi con Melissa e con Leon ritorno alla città real fece Ruggiero, e vi trovò che la passata sera l'imbasciaria de' Bulgari giunt'era.
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Che quella nazion, la qual s'avea Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo mandava questi suoi, che si credea d'averlo in Francia appresso al magno Carlo: perché giurargli fedeltà volea, e dar di sé dominio, e coronarlo. Lo scudier di Ruggier, che si ritrova con questa gente, ha di lui dato nuova.
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De la battaglia ha detto, ch'in favore de' Bulgari a Belgrado egli avea fatta, ove Leon col padre imperatore vinto, e sua gente avea morta e disfatta; e per questo l'avean fatto signore, messo da parte ogni uomo di sua schiatta: e come a Novengrado era poi stato preso da Ungiardo, e a Teodora dato:
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e che venuta era la nuova certa, che 'l suo guardian s'era trovato ucciso, e lui fuggito, e la prigione aperta: che poi ne fosse, non v'era altro avviso. Entrò Ruggier per via molto coperta ne la città, né fu veduto in viso. La seguente mattina egli e 'l compagno Leone appresentossi a Carlo Magno.
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S'appresentò Ruggier con l'augel d'oro che nel campo vermiglio avea due teste, e come disegnato era fra loro, con le medesme insegne e sopraveste che, come dianzi ne la pugna fôro, eran tagliate ancor, forate e peste; sì che tosto per quel fu conosciuto, ch'avea con Bradamante combattuto.
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Con ricche vesti e regalmente ornato Leon senz'arme a par con lui venìa; e dinanzi e di dietro e d'ogni lato avea onorata e degna compagnia. A Carlo s'inchinò, che già levato se gli era incontra; e avendo tuttavia Ruggier per man, nel qual intente e fisse ognuno avea le luci, così disse:
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-- Questo è il buon cavalliero il qual difeso s'è dal nascer del giorno al giorno estinto; e poi che Bradamante o morto o preso o fuor non l'ha de lo steccato spinto, magnanimo signor, se bene inteso ha il vostro bando, è certo d'aver vinto, e d'aver lei per moglie guadagnata; e così viene, acciò che gli sia data.
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Oltre che di ragion, per lo tenore del bando, non v'ha altr'uom da far disegno: se s'ha da meritarla per valore, qual cavallier più di costui n'è degno? s'aver la dee chi più le porta amore, non è chi 'l passi o ch'arrivi al suo segno. Et è qui presto contra a chi s'oppone, per difender con l'arme sua ragione. --
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Carlo e tutta la corte stupefatta, questo udendo, restò; ch'avea creduto che Leon la battaglia avesse fatta, non questo cavallier non conosciuto. Marfisa, che con gli altri quivi tratta s'era ad udire, e ch'a pena potuto avea tacer fin che Leon finisse il suo parlar, si fece inanzi e disse:
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-- Poi che non c'è Ruggier, che la contesa de la moglier fra sé e costui discioglia; acciò per mancamento di difesa così senza rumor non se gli toglia, io che gli son sorella, questa impresa piglio contra a ciascun, sia chi si voglia, che dica aver ragione in Bradamante, o di merto a Ruggiero andare inante. --
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E con tant'ira e tanto sdegno espresse questo parlar, che molti ebber sospetto, che senza attender Carlo che le desse campo, ella avesse a far quivi l'effetto. Or non parve a Leon che più dovesse Ruggier celarsi, e gli cavò l'elmetto; e rivolto a Marfisa: -- Ecco lui pronto a rendervi di sé -- disse -- buon conto. --
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Quale il canuto Egeo rimase, quando si fu alla mensa scelerata accorto, che quello era il suo figlio, al quale, instando l'iniqua moglie, avea il veneno pòrto; e poco più che fosse ito indugiando di conoscer la spada, l'avria morto: tal fu Marfisa, quando il cavalliero ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
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E corse senza indugio ad abbracciarlo, né dispiccar se gli sapea dal collo. Rinaldo, Orlando, e di lor prima Carlo di qua e di là con grand'amor baciollo. Né Dudon né Olivier d'accarezzarlo, né 'l re Sobrin si può veder satollo. Dei paladini e dei baron nessuno di far festa a Ruggier restò digiuno.
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Leone, il qual sapea molto ben dire, finiti che si fur gli abbracciamenti, cominciò inanzi a Carlo a riferire, udendo tutti quei ch'eran presenti, come la gagliardia, come l'ardire (ancor che con gran danno di sue genti) di Ruggier, ch'a Belgrado avea veduto, più d'ogni offesa avea di sé potuto;
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sì ch'essendo di poi preso e condutto a colei ch'ogni strazio n'avria fatto, di prigione egli, mal grado di tutto il parentado suo, l'aveva tratto; e come il buon Ruggier, per render frutto e mercete a Leon del suo riscatto, fe' l'alta cortesia che sempre a quante ne furo o saran mai, passarà inante.
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E seguendo narrò di punto in punto ciò che per lui fatto Ruggiero avea; e come poi da gran dolor compunto, che di lasciar la moglie gli premea, s'era disposto di morire; e giunto v'era vicin, se non si soccorrea. E con sì dolci affetti il tutto espresse, che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse.
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Rivolse poi con sì efficaci preghi le sue parole all'ostinato Amone, che non sol che lo muova, che lo pieghi, che lo faccia mutar d'opinione; ma fa ch'egli in persona andar non nieghi a supplicar Ruggier che gli perdone, e per padre e per suocero l'accette; e così Bradamante gli promette.
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A cui là dove, de la vita in forse, piangea i suoi casi in camera segreta, con lieti gridi in molta fretta corse per più d'un messo la novella lieta: onde il sangue ch'al cor, quando lo morse prima il dolor, fu tratto da la pieta, a questo annunzio il lasciò solo in guisa, che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
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Ella riman d'ogni vigor sì vòta, che di tenersi in piè non ha balìa; ben che di quella forza ch'esser nota vi debbe, e di quel grande animo sia. Non più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota sia condannato o ad altra morte ria, e che già agli occhi abbia la benda negra, gridar sentendo grazia, si rallegra.
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Si rallegra Mongrana e Chiaramonte, di nuovo nodo i dui raggiunti rami: altretanto si duol Gano col conte Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami; ma pur coprendo sotto un'altra fronte van lor pensieri invidiosi e grami; e occasione attendon di vendetta, come la volpe al varco il lepre aspetta.
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Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso molti in più volte avean di quei malvagi; ben che l'ingiurie fur con saggio avviso dal re acchetate, et i commun disagi; avea di nuovo lor levato il riso l'ucciso Pinabello e Bertolagi: ma pur la fellonia tenean coperta, dissimulando aver la cosa certa.
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Gli imbasciatori bulgari che in corte di Carlo eran venuti, come ho detto, con speme di trovare il guerrier forte del liocorno, al regno loro eletto; sentendol quivi, chiamar buona sorte la lor, che dato avea alla speme effetto; e riverenti ai piè se gli gittaro, e che tornassi in Bulgheria il pregaro;
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ove in Adrianopoli servato gli era lo scettro e la real corona: ma venga egli a difendersi lo stato; ch'a danni lor di nuovo si ragiona che più numer di gente apparecchiato ha Costantino, e torna anco in persona: et essi, se 'l suo re ponno aver seco, speran di tòrre a lui l'imperio greco.
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Ruggiero accettò il regno, e non contese ai preghi loro, e in Bulgheria promesse di ritrovarsi dopo il terzo mese, quando Fortuna altro di lui non fêsse. Leone Augusto che la cosa intese, disse a Ruggier, ch'alla sua fede stesse, che, poi ch'egli de' Bulgari ha il domìno, la pace è tra lor fatta e Costantino:
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né da partir di Francia s'avrà in fretta, per esser capitan de le sue squadre; che d'ogni terra ch'abbiano suggetta, far la rinunzia gli farà dal padre. Non è virtù che di Ruggier sia detta, ch'a muover sì l'ambiziosa madre di Bradamante, e far che 'l genero ami, vaglia, come ora udir, che re si chiami.
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Fansi le nozze splendide e reali, convenienti a chi cura ne piglia: Carlo ne piglia cura, e le fa quali farebbe, maritando una sua figlia. I merti de la donna erano tali, oltre a quelli di tutta sua famiglia, ch'a quel signor non parria uscir del segno, se spendesse per lei mezzo il suo regno.
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Libera corte fa bandire intorno, ove sicuro ognun possa venire; e campo franco sin al nono giorno concete a chi contese ha da partire. Fe' alla campagna l'apparato adorno di rami intesti e di bei fiori ordire, d'oro e di seta poi, tanto giocondo, che 'l più bel luogo mai non fu nel mondo.
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Dentro a Parigi non sariano state l'innumerabil genti peregrine, povare e ricche e d'ogni qualitate, che v'eran, greche, barbare e latine. Tanti signori, e imbascierie mandate di tutto 'l mondo, non aveano fine: erano in padiglion, tende e frascati con gran commodità tutti alloggiati.
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Con eccellente e singulare ornato la notte inanzi avea Melissa maga il maritale albergo apparecchiato, di ch'era stata già gran tempo vaga. Già molto tempo inanzi desiato questa copula avea quella presaga: de l'avvenir presaga, sapea quanta bontade uscir dovea da la lor pianta.
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Posto avea il genial letto fecondo in mezzo un padiglione amplo e capace, il più ricco, il più ornato, il più giocondo che già mai fosse o per guerra o per pace, o prima o dopo, teso in tutto 'l mondo; e tolto ella l'avea dal lito trace: l'avea di sopra a Costantin levato, ch'a diporto sul mar s'era attendato.
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Melissa di consenso di Leone, o più tosto per dargli maraviglia, e mostrargli de l'arte paragone, ch'al gran vermo infernal mette la briglia, e che di lui, come a lei par, dispone, e de la a Dio nimica empia famiglia; fe' da Costantinopoli a Parigi portare il padiglion dai messi stigi.
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Di sopra a Costantin ch'avea l'impero di Grecia, lo levò da mezzo giorno, con le corde e col fusto, e con l'intero guernimento ch'avea dentro e d'intorno: lo fe' portar per l'aria, e di Ruggiero quivi lo fece alloggiamento adorno. Poi, finite le nozze, anco tornollo miraculosamente onde levollo.
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Eran degli anni appresso che duo milia che fu quel ricco padiglion trapunto. Una donzella de la terra d'Ilia, ch'avea il furor profetico congiunto, con studio di gran tempo e con vigilia lo fece di sua man di tutto punto. Cassandra fu nomata, et al fratello inclito Ettòr fece un bel don di quello.
81
Il più cortese cavallier che mai dovea del ceppo uscir del suo germano (ben che sapea, da la radice assai che quel per molti rami era lontano) ritratto avea nei bei ricami gai d'oro e di varia seta, di sua mano. L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio per chi lo fece, e pel lavoro egregio.
82
Ma poi ch'a tradimento ebbe la morte, e fu 'l popul troian da' Greci afflitto; che Sinon falso aperse lor le porte, e peggio seguitò, che non è scritto; Menelao ebbe il padiglione in sorte, col quale a capitar venne in Egitto, ove al re Proteo lo lasciò, se vòlse la moglie aver, che quel tiran gli tolse.
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Elena nominata era colei per cui lo padiglione a Proteo diete; che poi successe in man de' Tolomei, tanto che Cleopatra ne fu erete. Da le genti d'Agrippa tolto a lei nel mar Leucadio fu con altre prede: in man d'Augusto e di Tiberio venne, e in Roma sin a Costantin si tenne;
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quel Costantin di cui doler si debbe la bella Italia, fin che giri il cielo. Costantin, poi che 'l Tevero gl'increbbe, portò in Bisanzio il prezioso velo: da un altro Costantin Melissa l'ebbe. Oro le corde, avorio era lo stelo; tutto trapunto con figure belle, più che mai con pennel facesse Apelle.
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Quivi le Grazie in abito giocondo una regina aiutavano al parto: sì bello infante n'apparia, che 'l mondo non ebbe un tal dal secol primo al quarto. Vedeasi Iove, e Mercurio facondo, Venere e Marte, che l'avevano sparto a man piene e spargean d'eterei fiori, di dolce ambrosia e di celesti odori.
86
Ippolito diceva una scrittura sopra le fasce in lettere minute. In età poi più ferma l'Aventura l'avea per mano, e inanzi era Virtute. Mostrava nòve genti la pittura con veste e chiome lunghe, che venute a domandar la parte di Corvino erano al padre il tenero bambino.
87
Da Ercole partirsi riverente si vede, e da la madre Leonora; e venir sul Danubio, ove la gente corre a vederlo, e come un Dio l'adora. Vedesi il re degli Ungari prudente, che 'l maturo sapere ammira e onora in non matura età tenera e molle, e sopra tutti i suoi baron l'estolle.
88
V'è che negli infantili e teneri anni lo scettro di Strigonia in man gli pone: sempre il fanciullo se gli vede a' panni, sia nel palagio, sia nel padiglione: o contra Turchi, o contra gli Alemanni quel re possente faccia espedizione, Ippolito gli è appresso, e fiso attende a' magnanimi gesti, e virtù apprende.
89
Quivi si vede, come il fior dispensi de' suoi primi anni in disciplina et arte. Fusco gli è appresso, che gli occulti sensi chiari gli espone de l'antiche carte. -- Questo schivar, questo seguir conviensi, se immortal brami e glorioso farte, -- par che gli dica: così avea ben finti i gesti lor chi già gli avea dipinti.
90
Poi cardinale appar, ma giovinetto, setere in Vaticano a consistoro, e con facondia aprir l'alto intelletto, e far di sé stupir tutto quel coro. -- Qual fia dunque costui d'età perfetto? -- parean con maraviglia dir tra loro. -- Oh se di Pietro mai gli tocca il manto, che fortunata età! che secol santo! --
91
In altra parte i liberali spassi erano e i giuochi del giovene illustre. Or gli orsi affronta sugli alpini sassi, ora i cingiali in valle ima e palustre: or s'un gianetto par che 'l vento passi, seguendo o caprio o cerva multilustre, che giunta par che bipartita cada in parti uguali a un sol colpo di spada.
92
Di filosofi altrove e di poeti si vede in mezzo un'onorata squadra. Quel gli dipinge il corso de' pianeti, questi la terra, quello il ciel gli squadra: questi meste elegie, quel versi lieti, quel canta eroici, o qualche oda leggiadra. Musici ascolta, e varii suoni altrove; né senza somma grazia un passo muove.
93
In questa prima parte era dipinta del sublime garzon la puerizia. Cassandra l'altra avea tutta distinta di gesti di prudenza, di iustizia, di valor, di modestia, e de la quinta che tien con lor strettissima amicizia, dico de la virtù che dona e spende; de le qual tutte illuminato splende.
94
In questa parte il giovene si vede col duca sfortunato degl'Insubri, ch'ora in pace a consiglio con lui siete, or armato con lui spiega i colubri; e sempre par d'una medesma fede, o ne' felici tempi o nei lugubri: ne la fuga lo segue, lo conforta ne l'afflizion, gli è nel periglio scorta.
95
Si vede altrove a gran pensieri intento per salute d'Alfonso e di Ferrara; che va cercando per strano argumento, e trova, e fa veder per cosa chiara al giustissimo frate il tradimento che gli usa la famiglia sua più cara: e per questo si fa del nome erede, che Roma a Ciceron libera diede.
96
Vedesi altrove in arme relucente, ch'ad aiutar la Chiesa in fretta corre; e con tumultuaria e poca gente a un esercito istrutto si va opporre; e solo il ritrovarsi egli presente tanto agli Ecclesiastici soccorre, che 'l fuoco estingue pria ch'arder comince: sì che può dir, che viene e vede e vince.
97
Vedesi altrove da la patria riva pugnar incontra la più forte armata, che contra Turchi o contra gente argiva da' Veneziani mai fosse mandata: la rompe e vince, et al fratel captiva con la gran preta l'ha tutta donata; né per sé vedi altro serbarsi lui, che l'onor sol, che non può dare altrui.
98
Le donne e i cavallier mirano fisi, senza trarne costrutto, le figure; perché non hanno appresso che gli avvisi che tutte quelle sien cose future. Prendon piacere a riguardare i visi belli e ben fatti, e legger le scritture. Sol Bradamante da Melissa instrutta gode tra sé; che sa l'istoria tutta.
99
Ruggiero, ancor ch'a par di Bradamante non ne sia dotto, pur gli torna a mente che fra i nipoti suoi gli solea Atlante commendar questo Ippolito sovente. Chi potria in versi a pieno dir le tante cortesie che fa Carlo ad ogni gente? Di vari giochi è sempre festa grande, e la mensa ognor piena di vivande.
100
Vedesi quivi chi è buon cavalliero; che vi son mille lance il giorno rotte: fansi battaglie a piedi e a destriero, altre accoppiate, altre confuse in frotte. Più degli altri valor mostra Ruggiero, che vince sempre, e giostra il dì e la notte; e così in danza, in lotta et in ogni opra sempre con molto onor resta di sopra.
101
L'ultimo dì, ne l'ora che 'l solenne convito era a gran festa incominciato; che Carlo a man sinistra Ruggier tenne, e Bradamante avea dal destro lato; di verso la campagna in fretta venne contra le mense un cavalliero armato, tutto coperto egli e 'l destrier di nero, di gran persona, e di sembiante altiero.
102
Quest'era il re d'Algier, che per lo scorno che gli fe' sopra il ponte la donzella, giurato avea di non porsi arme intorno, né stringer spada, né montare in sella, fin che non fosse un anno, un mese e un giorno stato, come eremita, entro una cella. Così a quel tempo solean per se stessi punirsi i cavallier di tali eccessi.
103
Se ben di Carlo in questo mezzo intese e del re suo signore ogni successo; per non disdirsi, non più l'arme prese, che se non pertenesse il fatto ad esso. Ma poi che tutto l'anno e tutto 'l mese vede finito, e tutto 'l giorno appresso con nuove arme e cavallo e spada e lancia alla corte or ne vien quivi in Francia.
104
Senza smontar, senza chinar la testa, e senza segno alcun di riverenzia, mostra Carlo sprezzar con la sua gesta, e de tanti signor l'alta presenza. Maraviglioso e attonito ognun resta, che si pigli costui tanta licenzia. Lasciano i cibi e lascian le parole per ascoltar ciò che 'l guerrier dir vuole.
105
Poi che fu a Carlo et a Ruggiero a fronte, con alta voce et orgoglioso grido: -- Son -- disse -- il re di Sarza, Rodomonte, che te, Ruggiero, alla battaglia sfido; e qui ti vo', prima che 'l sol tramonte, provar ch'al tuo signor sei stato infido; e che non merti, che sei traditore, fra questi cavallieri alcun onore.
106
Ben che tua fellonia si vegga aperta, perché essendo cristian non pòi negarla; pur per farla apparere anco più certa, in questo campo vengoti a provarla: e se persona hai qui che faccia offerta di combatter per te, voglio accettarla. Se non basta una, e quattro e sei n'accetto; e a tutte manterrò quel ch'io t'ho detto. --
107
Ruggiero a quel parlar ritto levosse, e con licenza rispose di Carlo, che mentiva egli, e qualunqu'altro fosse, che traditor volesse nominarlo; che sempre col suo re così portosse, che giustamente alcun non può biasmarlo; e ch'era apparecchiato sostenere che verso lui fe' sempre il suo dovere:
108
e ch'a difender la sua causa era atto, senza tòrre in aiuto suo veruno; e che sperava di mostrargli in fatto, ch'assai n'avrebbe e forse troppo d'uno. Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto, quivi il marchese, e 'l figlio bianco e 'l bruno, Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero s'eran per la difesa di Ruggiero;
109
mostrando ch'essendo egli nuovo sposo, non dovea conturbar le proprie nozze. Ruggier rispose lor: -- State in riposo; che per me fôran queste scuse sozze. -- L'arme che tolse al Tartaro famoso, vennero, e fur tutte le lunghe mozze. Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse, e Carlo al fianco la spada gli cinse.
110
Bradamante e Marfisa la corazza posta gli aveano, e tutto l'altro arnese. Tenne Astolfo il destrier di buona razza, tenne la staffa il figlio del Danese. Feron d'intorno far subito piazza Rinaldo, Namo et Olivier marchese: cacciaro in fretta ognun de lo steccato a tal bisogni sempre apparecchiato.
111
Donne e donzelle con pallida faccia timide a guisa di columbe stanno, che da' granosi paschi ai nidi caccia rabbia de' venti che fremendo vanno con tuoni e lampi, e 'l nero aer minaccia grandine e pioggia, e a' campi strage e danno: timide stanno per Ruggier; che male a quel fiero pagan lor parea uguale.
112
Così a tutta la plebe e alla più parte dei cavallieri e dei baron parea; che di memoria ancor lor non si parte quel ch'in Parigi il pagan fatto avea; che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte n'avea distrutta, e ancor vi rimanea, e rimarrà per molti giorni il segno: né maggior danno altronde ebbe quel regno.
113
Tremava, più ch'a tutti gli altri, il core a Bradamante; non ch'ella credesse che 'l Saracin di forza, e del valore che vien dal cor, più di Ruggier potesse; né che ragion, che spesso dà l'onore a chi l'ha seco, Rodomonte avesse: pur stare ella non può senza sospetto; che di temere, amando, ha degno effetto.
114
Oh quanto volentier sopra sé tolta l'impresa avria di quella pugna incerta, ancor che rimaner di vita sciolta per quella fosse stata più che certa! Avria eletto a morir più d'una volta, se può più d'una morte esser sofferta, più tosto che patir che 'l suo consorte si ponesse a pericol de la morte.
115
Ma non sa ritrovar priego che vaglia, perché Ruggiero a lei l'impresa lassi. A riguardare adunque la battaglia con mesto viso e cor trepido stassi. Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia, e vengonsi a trovar coi ferri bassi. Le lance all'incontrar parver di gielo; i tronchi, augelli a salir verso il cielo.
116
La lancia del pagan, che venne a côrre lo scudo a mezzo, fe' debole effetto: tanto l'acciar, che pel famoso Ettorre temprato avea Vulcano, era perfetto. Ruggier la lancia parimente a porre gli andò allo scudo, e gliele passò netto; tutto che fosse appresso un palmo grosso, dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
117
E se non che la lancia non sostenne il grave scontro, e mancò al primo assalto, e rotta in schegge e in tronchi aver le penne parve per l'aria, tanto volò in alto; l'osbergo apria (si furiosa venne), se fosse stato adamantino smalto, e finia la battaglia; ma si roppe: posero in terra ambi i destrier le groppe.
118
Con briglia e sproni i cavallieri instando, risalir feron subito i destrieri; e donde gittàr l'aste, preso il brando, si tornato a ferir crudeli e fieri: di qua di là con maestria girando gli animosi cavalli atti e leggieri, con le pungenti spade incominciaro a tentar dove il ferro era più raro.
119
Non si trovò lo scoglio del serpente, che fu sì duro, al petto Rodomonte, né di Nembrotte la spada tagliente, né 'l solito elmo ebbe quel dì alla fronte; che l'usate arme, quando fu perdente contra la donna di Dordona al ponte, lasciato avea sospese ai sacri marmi, come di sopra avervi detto parmi.
120
Egli avea un'altra assai buona armatura, non come era la prima già perfetta: ma né questa né quella né più dura a Balisarda si sarebbe retta; a cui non osta incanto né fattura, né finezza d'acciar né tempra eletta. Ruggier di qua di là sì ben lavora, ch'al pagan l'arme in più d'un loco fora.
121
Quando si vide in tante parti rosse il pagan l'arme, e non poter schivare che la più parte di quelle percosse non gli andasse la carne a ritrovare; a maggior rabbia, a più furor si mosse, ch'a mezzo il verno il tempestoso mare: getta lo scudo, e a tutto suo potere su l'elmo di Ruggiero a due man fere.
122
Con quella estrema forza che percuote la machina ch'in Po sta su due navi, e levata con uomini e con ruote cader si lascia su le aguzze travi; fere il pagan Ruggier, quanto più puote, con ambe man sopra ogni peso gravi: giova l'elmo incantato; che senza esso, lui col cavallo avria in un colpo fesso.
123
Ruggiero andò due volte a capo chino, e per cadere e braccia e gambe aperse. Raddoppia il fiero colpo il Saracino, che quel non abbia tempo a riaverse: poi vien col terzo ancor; ma il brando fino sì lungo martellar più non sofferse; che volò in pezzi, et al crudel pagano disarmata lasciò di sé la mano.
124
Rodomonte per questo non s'arresta, ma s'aventa a Ruggier che nulla sente; in tal modo intronata avea la testa, in tal modo offuscata avea la mente. Ma ben dal sonno il Saracin lo desta: gli cinge il collo col braccio possente; e con tal nodo e tanta forza afferra, che de l'arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in terra sì tosto, che risorse, via più che d'ira, di vergogna pieno; però che a Bradamante gli occhi torse, e turbar vide il bel viso sereno. Ella al cader di lui rimase in forse, e fu la vita sua per venir meno. Ruggiero ad emendar presto quell'onta, stringe la spada, e col pagan s'affronta.
126
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero lo cansa accortamente, e si ritira, e nel passare, al fren piglia il destriero con la man manca, e intorno lo raggira; e con la destra intanto al cavalliero ferire il fianco o il ventre o il petto mira; e di due punte fe' sentirgli angoscia, l'una nel fianco, e l'altra ne la coscia.
127
Rodomonte, ch'in mano ancor tenea il pome e l'elsa de la spada rotta, Ruggier su l'elmo in guisa percotea, che lo potea stordire all'altra botta. Ma Ruggier ch'a ragion vincer dovea, gli prese il braccio, e tirò tanto allotta, aggiungendo alla destra l'altra mano, che fuor di sella al fin trasse il pagano.
128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada il pagan sì, ch'a Ruggier resti al paro: vo' dir che cadde in piè; che per la spada Ruggiero averne il meglio giudicaro. Ruggier cerca il pagan tenere a bada lungi da sé, né di accostarsi ha caro: per lui non fa lasciar venirsi adosso un corpo così grande e così grosso.
129
E insanguinargli pur tuttavia il fianco vede e la coscia e l'altre sue ferite. Spera che venga a poco a poco manco, sì che al fin gli abbia a dar vinta la lite. L'elsa e 'l pome avea in mano il pagan anco, e con tutte le forze insieme unite da sé scagliolli, e sì Ruggier percosse, che stordito ne fu più che mai fosse.
130
Ne la guancia de l'elmo, e ne la spalla fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente, che tutto ne vacilla e ne traballa, e ritto se sostien difficilmente. Il pagan vuole entrar, ma il piè gli falla, che per la coscia offesa era impotente: e 'l volersi affrettar più del potere, con un ginocchio in terra il fa cadere.
131
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto lo percuote nel petto e ne la faccia; e sopra gli martella, e tien sì curto, che con la mano in terra anco lo caccia. Ma tanto fa il pagan che gli è risurto; si stringe con Ruggier sì, che l'abbraccia: l'uno e l'altro s'aggira, e scuote e preme, arte aggiungendo alle sue forze estreme.
132
Di forza a Rodomonte una gran parte la coscia e 'l fianco aperto aveano tolto. Ruggiero avea destrezza, avea grande arte, era alla lotta esercitato molto: sente il vantaggio suo, né se ne parte; e donde il sangue uscir vede più sciolto, e dove più ferito il pagan vede, puon braccia e petto, e l'uno e l'altro piede.
133
Rodomonte pien d'ira e di dispetto Ruggier nel collo e ne le spalle prende: or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto sollevato da terra lo sospende, quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto, e per farlo cader molto contende. Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra senno e valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le prese andò mutando il franco e buon Ruggier, che Rodomonte cinse: calcògli il petto sul sinistro fianco, e con tutta sua forza ivi lo strinse. La gamba destra a un tempo inanzi al manco ginocchio e all'altro attraversògli e spinse; e da la terra in alto sollevollo, e con la testa in giù steso tornollo.
135
Del capo e de le schene Rodomonte la terra impresse; e tal fu la percossa, che da le piaghe sue, come da fonte, lungi andò il sangue a far la terra rossa. Ruggier, c'ha la Fortuna per la fronte, perché levarsi il Saracin non possa, l'una man col pugnal gli ha sopra gli occhi, l'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136
Come talvolta, ove si cava l'oro là tra' Pannoni o ne le mine ibere, se improvisa ruina su coloro che vi condusse empia avarizia, fere, ne restano sì oppressi, che può il loro spirto a pena, onde uscire, adito avere: così fu il Saracin non meno oppresso dal vincitor, tosto ch'in terra messo.
137
Alla vista de l'elmo gli appresenta la punta del pugnal ch'avea già tratto; e che si renda, minacciando, tenta, e di lasciarlo vivo gli fa patto. Ma quel, che di morir manco paventa, che di mostrar viltade a un minimo atto, si torce e scuote, e per por lui di sotto mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastin sotto il feroce alano che fissi i denti ne la gola gli abbia, molto s'affanna e si dibatte invano con occhi ardenti e con spumose labbia, e non può uscire al pretator di mano, che vince di vigor, non già di rabbia: così falla al pagano ogni pensiero d'uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce e dibatte sì, che viene ad espetirsi col braccio migliore; e con la destra man che 'l pugnal tiene, che trasse anch'egli in quel contrasto fuore, tenta ferir Ruggier sotto le rene: ma il giovene s'accorse de l'errore in che potea cader, per differire di far quel empio Saracin morire.
140
E due e tre volte ne l'orribil fronte, alzando, più ch'alzar si possa, il braccio, il ferro del pugnale a Rodomonte tutto nascose, e si levò d'impaccio. Alle squalide ripe d'Acheronte, sciolta dal corpo più freddo che giaccio, bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa, che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.
FINIS. PRO BONO MALUM.
EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Opere di Ludovico Ariosto",
a cura di Adriano Seroni, Ugo Mursia editore, Milano, 1976
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